Amo queste prime notti di primavera, in cui iniziamo a tenere le finestre aperte, e la strada diventa un cortile di suoni e pezzi di vite che si intrecciano per strada e si dissolvono all’ incrocio.
Mi invento storie per ogni voce che sento e immagino gli incontri dei personaggi come nelle storie in casetta che ascoltavo da bambina, cullata dalle parole che disegnavano mondi. Le storie mi sono sempre piaciute, a partire dalla mia, di bimba arrivata da lontano per trovare un amore da chiamare ” famiglia”, ma anche tutte quelle in cui ho sempre inciampato. Sono così, le storie, se ti rapiscono non puoi più sottrarti, le vedi ovunque: nelle facce assonnate delle mattine sull’ autobus, nei giornali sfogliati distrattamente, nei saluti appassionati; ad ogni angolo c’ è qualche particolare banale, che nasconde vite intere e non si può non immaginarle. Talvolta mi pare stancante, eccessivo, e temo qualche rimbrotto da qualcuno che fisso, ché non è semplice spiegare la questione delle storie e bla bla bla, senza sembrare impiccioni o un po’ svitati, magari tutte e due insieme, ma in realtà non ci rinuncerei mai, ai miei racconti personali. Così mi godo i rumori dei racconti notturni, ognuno ha il suo: i tacchi incerti dopo la serata, il trolley che corre verso la stazione, e la voce sintetica dell’ultima corsa del bus, che saluta la notte cittadina.