imageHo sempre amato i vestiti usati da altri, ma non altri generici, amo gli abiti di mia madre da giovane, le borse di mia nonna, qualche cappello di lana, di quelli da sci che portava mio padre. Amo la maglietta grande di mio marito, che avevo addosso quando ho partorito, e avevo in valigia un pigiamino carino, ma poi, tra paura ed emozione, mi son stretta in quella, e avevo detto che l’ avrei gettata, per come era ridotta dopo quelle venti ore estenuanti ma poi, un giro di lavatrice e ora riposa nel cassetto, anche se nessuno la mette più, lunga, larga e custode di ricordi; e le sue felpe, lunghissime per me, con cui mi avvolgo.E ancora, c’ è un vestito nell’ armadio che occhieggia sempre, coi suoi quadretti arancioni, gli voglio bene quasi, lo cucì mia nonna, per mia mamma ragazzina, e lo porto anche io, dovrei riadattarlo, troppo lungo per me, ma rimando continuamente e forse non lo farò mai, mi piace così alla fine, un po’ lungo, ma col sapore delle estati di mia madre adolescente, e la memoria delle dita della nonna, occhi attenti e ago veloce, inconsapevoli di creare bellezza. Cerco nei vestiti una memoria di storie, di vicinanza, immagino dove li hanno portati, le piccole abitudini che li hanno lisi, proprio in quel punto, sulla manica, e le emozioni che li hanno sformati. Amo i vestiti degli altri, quando li sento miei, è come scrivere nuovi pezzi di storia insieme, in cui posso sbirciare sensazioni altrui.

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