Ci sono giorni che la tristezza mi si appiccica addosso, la sento arrivare, fa capolino tra i pensieri banali, tra il calore di una torta sfornata, con la crosticina croccante, e il profumo, buono, dei suoi capelli dopo il bagnetto. Sempre così, le malinconie, tra gli interstizi di normalità, colpiscono a tradimento;  in quei momenti di quiete rassicurante, striscia fuori un “se ci fosse…”, accompagnato da un ” gli direi…” e, con determinata costanza si fanno strada, rotolando fuori dall’angolino in cui li faccio restare. Non c’è antidoto, ne ho cercati, ma non ho mai trovato un modo per far scivolare via i pensieri, neanche la piscina, col suo odore di cloro asettico e le mattonelle azzurrine, su cui provo a cacciare la tristezza con movimenti ripetuti. Aiuta, molto, svuotare la testa, ma in quei giorni grigi, non basta. Perché il ricordo perde la dolcezza che il tempo gli ha regalato, e torna gelido, con la precisione di particolare che affiorano dalla memoria, nitidi, esatti, terribili. Non ho un dio a cui affidarmi, non ho la rassicurante speranza futura, e non la cerco. Negli anni, ho elaborato altrimenti il senso che voglio e posso dare all’assenza. Ancora una volta, scelgo di attraversare il dolore, non fuggirlo, guardare in quel buco grigio, dai contorni sfrangiati, come le ferite. Solo dopo, posso riempirlo, non eliminarlo, è un compagno di via oramai, fa parte del modo in cui vivo, ma, da blocco lo reinvento spinta verso la felicità. E l’odore buono dei suoi capelli, le loro voci che giocano nell’altra stanza, ritornano ad essere reali, desideri realizzati, che mi prendono la mano, per sognarne altri.

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