Sarà che arrivano le feste e la mancanza morde più forte, o forse è il periodo di cambiamento e mi serve guardare indietro, prima di saltare. Dovevamo essere in tre, sono rimasta solo io. Per i primi diciotto anni della mia vita, sono stata sorella, in modi differenti, con due fratelli diversi. “A volte litigate un po’, ma vedrai, da grandi, sarà bellissimo, con le vostre famiglie, esserci.” diceva mamma. L’eco della sua promessa è sbiadita, nell’evidente impossibilità di realizzarsi; non più zii da regalare al mio bimbo, né imbarazzanti fotografie di cui vergognarsi insieme, né battibecchi, su chi telefona di più. Due vuoti, tempi e modi distanti, ma identici, nello spaesamento, freddo e doloroso, che hanno lasciato. Per molto tempo, raccontare la mia storia, intrecciata alle loro, toccandole con le parole, il tanto che bastava a rendere un ricordo, è stata una spinta imprescindibile, quasi a pagare pegno, io sono qui, loro no; e raccontare è un po’ ricordare, rendere un pezzo di chi non c’è. Ma, mi accorgo, non può essere (solo) questo il motivo, quel che mi fa combattere l’istintiva timidezza, la paura degli sguardi, si trova più in fondo, oltre il desiderio di ricordare, e lo cerco sempre di più. Credo si trovi nella necessità di fare qualcosa, perché ho tutta una vita davanti, ma quella vissuta ha lasciato tracce che, prese per mano, mi si rivelano in sfumature e stimoli nuovi, che lasciano spazio a finestre aperte e aria fredda e cristallina e mi spingono a nuove avventure. Prendo la rincorsa, tiro il fiato, sono pronta al salto, rubando un po’ di allegra intraprendenza al piccolino che mi cresce accanto, e molto amore, dal mio compagno di strada; racconto storie, faccio la mia parte.