Il piccolino la sera, dopo il gioco della “cosa bella”, mi chiede spesso una storia “tutta mia mamma, no dei libri!”. Fortunello! Ché, da sempre, amo raccontare storie ai bimbi “tutte loro”, e per lui intreccio le nostre vite, addolcite dal “c’era una volta…” e con tristezze che si dissolvono in abbracci caldi. Sentire che la mamma è arrivata da un paese col sole brillante, e i nonni hanno scordato il suo orsacchiotto in macchina dall’ emozione, e da grande ha incontrato il papà, il suo innamorato grande ( il piccolo è lui, ovviamente), e poi è arrivato lui, meraviglio, che come ogni bimbo felice vede in sé stesso il centro di tutte le storie, è un racconto affascinante, che lo coinvolge e lo rende orgoglioso, perché “la mamma malloncina, viene dal paese degli elefanti graaaaaaandi, e quando io sarò grande, e lei piccola, la porto li con me”, finale dal rocambolesco scarto spazio-temporale, di cui il piccolino pare convintissimo. Mi appare del tutto naturale raccontargli la mia storia, e consegnandola ai suoi occhioni attenti, me ne riapproprio anche io, piano piano, con tempo di bimbo. Lasciando che gli avvenimenti si rivelino in ogni nuovo racconto, arricchimenti emozionanti, una puntata dopo l’ altra. Però, ci sono le ombre, il dolore, ed io credo e voglio, raccontare anche questo, quando sarà il momento, perché è parte indissolubile di me, e rinnegarlo non lo farebbe certo sparire, piuttosto lo relegherebbe in pericolosi anfratti, da cui sfuggirebbe insinuandosi nelle crepe. Così, capisco profondamente, il timore di qualche mamma e papà, “abbiamo notizie, della sua vita prima di noi, ma sono piene di dolore, di rifiuto, come possiamo raccontarle? Sappiamo che dobbiamo, ma abbiamo paura”. Ed io lo so, solo il pensiero di suscitare pensieri di tristezza ai nostri bimbi fa spavento, perché vorremmo proteggerli da tutto e tutti, e promettere loro un futuro senza fatica. Credo però, che non sia questo il nostro compito, la vita non si può evitare, tanto sa dove cercarci, e ci trova sempre; sento profondamente che il piccolo Elia, merita il mio coraggio di fare un passo indietro, per lasciarlo cadere, pronta a fornire un appiglio sicuro alle sue mani ,e poi, a cedere il passo al suo slancio, che non mi veda mai precederlo, ma senta il rumore dei miei piedi, finché gli servirà. Si può raccontare anche una storia di abbandono, di incapacità, se convinciamo mente e cuore ad accogliere dentro di noi la consapevolezza sicura che il suo passato, anche doloroso, sarà ricchezza per il suo futuro, se sapremo accompagnarlo e tenerlo per mani, mentre guarda e riconosce le sue ombre. Perché alla fine, il fulcro di tutto è l’ amore; amore che si impara e si insegna, e che se non avviene, per contingenze faticose, questo passaggio tra generazioni, non si può trasmettere. Che chi non ha ricevuto tenerezza e cure, vicinanza emotiva, sostegno, e si trova solo a fronteggiare un’ impresa fantastica ma totalizzante, come crescere un figlio, non avrà modo di accudire, di trasformare quel sentimento di protezione che pare innato, in gesti concreti e affetto agito. Non si tratta più di attribuire colpe o perdonare mancanze, ma di riempire di senso quella domanda che riecheggia dentro i figli adottivi “perché non mi ha tenuto?” . Perché non poteva, non ne aveva gli strumenti, emotivi e fisici, per poterlo fare al meglio, e allora, ha regalato l’ unica cosa che sapeva, l’ opportunità di imparare l’ amore, l’ occasione di crescere in un abbraccio. Con gesti e parole di cura, mani piene di amore e con fermezza paziente nell’ accogliere le turbolenze sfidanti, si può costruire un’ intimità nuova, priva di carne e sangue ma fisica, di pelle che si conosce e odore inconfondibile, che, finalmente, regala casa. Raccontare sempre, raccontare tutto. Sia quando si tratta di ricostruire ricordi vaghi, che quando si fronteggiano mancanze ben definite nella memoria; il gioco si ripete ogni volta e muta ad ogni tappa: riannodare fili spezzati, tesserne di nuovi, intrecciarli per una coperta sicura, i cui accoccolarsi insieme, nei giorni di tempesta, aspettando che torni sereno, perché “Mamma, il sole giallo giallo, torna sempre? Io dico di sì!”. Dico di sì anche io, piccolo uomo.
Grazie per questo racconto, mi hai emozionato e rincuorato, dato coraggio e fatto capire di più il percorso che sto facendo
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Grazie!!!
Mi hai dato coraggio, fatto capire il percorso che mi attende e cosa fare!
Grazie per le conferme e per il coraggio
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