Lui con occhi grandi, stupiti, spauriti, piccolo eppur con una dignità da uomo, nei suoi vestitini nuovi, come l’ idea di una mamma e un papà da non dividere con nessuno, farsi stringere forte da braccia tutte sue, e poi farsi sgridare ancora, e ancora, e ancora, per vedere, se sarà per sempre. Loro, persi e felici, in abbracci di cui prendere le misure, parole nella sua lingua, stralunati di stanchezza e amore, presi in un vortice che diventerà normalità. Qualche giorno fa, ho rivisto dopo molto tempo dei cari amici, appena tornati dall’ India, con il loro bimbo, due anni e mezzo, e uno sguardo in cui ne rivedo tanti. E nelle ore passate insieme ho riconosciuto il loro spaesamento, simile al mio, nei primi giorni del piccolo Elia, ma, con una differenza. Tanto scontata che quasi pare superfluo dirlo, e invece, credo che questo, soprattutto in passato si sia taciuto un po’. Quando il piccolo meraviglio è nato, è stato certamente un turbinio di emozioni, stanchezza e scombussolamento generale, ma, in un qualche modo, io e lui, avevamo avuto nove mesi per conoscerci, per sapere di fidarci, e seppure era necessario iniziare un avventura nuova, nel mondo esterno, sentivamo radici forti, sicure, quasi istintive su cui costruire; e anche con il papà, si sono in qualche modo riconosciuti a pelle, le sue sono le prime mani ad averlo tenuto stretto ( e di questo si vanta ancora) e la voce, la musica del suo papà Elia l’ aveva ascoltata da sempre. Quando un bimbo viene adottato, tutto ciò va ricostruito, bisogna impastare di intimità un rapporto che i genitori sanno eterno, ma il cuore del bimbo deve imparare a sentirlo. E allora si insegna al corpo a farsi consolare con baci e carezze, a riconoscere voci che sanno di casa, e una pelle morbida, contro la propria, magari di colore differente, ma con un profumo inconfondibile, che promette un porto sicuro, ogni volta che servirà; si regala il tempo per sapere che qualche sgridata e marachelle ripetute, servono per esser sicuri che ci saranno sempre abbracci, perché nessun figlio potrà essere così birbante da spezzare l’ amore di chi l’ ha atteso così a lungo, cullandolo nel cuore, giacché le braccia erano ancora lontane. Si conosce insieme un nuovo linguaggio, fatto di gesti unici, buffi e perfetti, strane parole che mescolano suoni diversi e creano un vocabolario pieno di stupore e speranza, gioie e timori, da fronteggiare insieme, e sciogliere in una risata. È quindi solo questione di riconoscere che, il sentimento e l’ emozione sono identici, ma la relazione con un figlio nato da noi o adottato, è differente, non più o meno bella, semplicemente diversa, e in questa diversità si possono trovare infinite sfumature, da scoprire e adattare alla propria storia, ché infine, tutte, sono famiglie, e il compito è sempre il medesimo: dare strumenti per far salpare i nostri figli, accoglierli nelle mareggiate, e far si che sappiano che tornerà sempre il vento favorevole a partire ancora.