Abbandonare, lasciare, perdersi. Si disquisisce spesso, su quale termine sia il più  adatto a descrivere il fatto che una mamma e un papà  decidano di non crescere il proprio bambino/a, e certamente, ogni storia è  differente. Mi chiedo però,  quanto sia davvero importante soffermarsi sul vocabolo in se. Per me, che affido un’ importanza centrale alla parola, e la ritengo strumento in grado di costruire e restituire concretezza a ricordi ed emozioni è  quasi un assurdo, ma forse, potremmo provare ad andare oltre a quel che  la parola sottende. Il punto per me, non é,  solo, che io sia stata abbandonata o lasciata o che mi sia persa, e riconosco che ognuna di queste eventualità  si porta dietro un bagaglio di sfumature diverse, ma quel che cerco è  riempire di senso quel vuoto, quello strappo che fa parte della mia storia, renderlo parte della mia vita, in un modo nuovo, trasformarlo, da nemico a compagno di viaggio, stimolo e coraggio nel riconoscere negli occhi di altri, lo stesso percorso. Le parole sono importanti, e si possono usare, senza averne paura, rivelano dolori in cui affacciarsi, ma possono essere addomesticate. Abbandono, è  un termine duro, doloroso, ma se ci guardo dentro posso trovarci tutte le sfumature della vita, senza edulcorare la sofferenza, guardandola negli occhi, e facendo ciò,  riconoscerla. Essere stati adottati  presuppone, inevitabilmente, che ci sia stato un periodo  della propria vita, più  o meno lungo, in cui non ci siano stati genitori accudenti, e con questo è  necessario confrontarsi. Non si tratta di distribuire colpe o giudizi, a poco servono e le sfumature sono molteplici e differenti. Piuttosto, è  il fronteggiare la propria emozione rispetto ad un’ esperienza, ognuno  troverà  il suo modo per  addentrarsi in un mondo sfaccetato, è  un percorso lungo una vita, che può  dare risposte differenti e mutevoli a seconda del momento che si sta vivendo, ed ogni domanda, ogni istanza ha valore, così come ogni risposta che suoni vera e sincera al proprio sentire. Ognuno elabora a seconda del proprio vissuto e della realtà  in cui è  immerso, condizionato dalla propria sensibilità e dalle esperienze fatte. È  una ricchezza bella, confrontarsi, con reale apertura e curiosità,  privi di pregiudizi sterili, può  essere la chiave per riconoscere anche in storie diverse, sfumature che ci appartengono, spunti per ripensarci nuovamente e aggiungere una sfumatura alle nostre certezze. E le parole, si riappropriano del loro senso, non più  marchio scritto sul cuore, ma strumento per mettere assieme i propri pezzi, in un puzzle variopinto, da distruggere e costruire più  bello, ogni volta che non ci rispecchia più,  per cercare, con ostinata convinzione, di trovare ad ogni cambiamento, un modo nuovo per guardarci.

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