Qualche giorno fa, ero a Firenze, ed avendo un po’ di tempo, sono andata al nuovo museo degli Innocenti. L’ ho trovato davvero bello, interessante e, soprattutto, emozionante. Ho trovato commovente leggere le storie archiviate, le annotazioni su bimbi, sul loro arrivo all’istituto e sull’evoluzione del loro percorso. Sono custoditi anche i piccoli oggetti che venivano trovati o consegnati assieme ai piccolini, e pezzi di memoria e appigli per ritrovamenti futuri. Nell’estrarre i cassettini in cui sono riposti, col nome scritto davanti, ho provato una sorta di pudore, nell’entrare in quelle vite passate, scoprendone piccoli tesori.
Mi sono chiesta, per l’ ennesima volta, come sarebbe, avere qualche informazione in più, una foto, il ricordo di una voce, e, quasi non mi azzardo a pensarlo, tanto so impossibile l’ eventualità, una persona fisica da conoscere. Non lo saprò mai, le notizie sono poche e vaghe, solo un nome, e una suora che diceva somigliassi, a quella ragazza di ventiquattro anni, che chiedeva elemosina al tempio, e mi ha tenuta con se fino a quattordici mesi, finché ha potuto, finché è riuscita. La mia mamma indiana. Non ho ricordi, ma la sensazione di essere stata amata, di un volto sorridente sopra il mio, di un abbraccio. E poi, quella seguente di uno strappo lacerante, in cui quello sguardo amorevole non c’ era più. Mi chiedo cosa sia stato di lei, e da madre, non oso avvicinarmi ad immaginare lo strazio di lasciare il proprio figlio, quale che sia la causa. L’ unica cosa che posso fare è sperare per lei un destino migliore, di quello che il raziocinio mi fa pensare. Che abbia trovato un modo, per avere una vita serena. Ed è doloroso sapere, che probabilmente non è stato così. Quanto a me, dal istante in cui ho tenuto il piccolo meraviglio tra le braccia, ho capito che non dovevo scegliere, che non serviva dare e togliere importanza a nessuna delle quattro persone che, ognuno a suo modo e a suo tempo, hanno fatto sì che io sia qui, me stessa, a vivere la vita che ho scelto. Quanta tenerezza per chi non ricordo, ma è in qualche parte di me, e quanta vicinanza, con chi invece è sempre qui accanto. E, in senso lato, è questo che vorrei e che cerco, col mio fido compagno di avventura, di regalare al piccoletto: la consapevolezza che abbiamo in noi spazio per molti amori, molte storie differenti, e non servono giudizi di valore, ma accogliere la bellezza che vediamo attorno a noi.
La cosa più commovente nelle mie ore al museo, è stata piccola, forse rischia quasi di passare inosservata, dato che accompagna un passaggio di scale, e poco più. Ci sono le registrazione di voci, di bimbi e di donne. Si sentono gli schiamazzi, le urla, le risate, la vita registrata in quelle stanze. Sono rimasta catturata e mi sono fermata sui gradini, ad ascoltare. Sarà che la voce è una delle cose più labili, e che più si dimenticano, e allo stesso tempo una delle più potenti nel caratterizzare una persona. Sono evocative le voci, gli accenti, il modo in cui si flette nelle frasi. Ecco, sentirle lì, mi ha regalato un impressione vivida di vite vere, che si srotolavano in quello spazio. È stato una bella scoperta, il nuovo museo, qualcosa che mi è piaciuto davvero tanto, in una città da cui sono fuggita, e che solo ora, a tratti, riesco ad apprezzare.