“Il nome di un uomo non è  come un mantello che gli si può  strappare o cacciare di dosso, ma una veste perfettamente adatta, o come la pelle concresciutagli che non si può  graffiare senza far male anche a lui”   Goethe

Oggi mi sono imbattuta in questa frase, e mi ha fatto pensare ad alcune persone adottate che, a dispetto di tratti marcatamente stranieri hanno nomi italiani. E spesso, raccontano di nomi originali sostituiti o affiancati da più pronunciabili nomi italiani, e devo ammettere un certo disagio di fronte a questa pratica. Lo capisco, solitamente viene fatto, in buona fede,  per semplificare  qiestioni burocratiche o per evitare storpiature del nome in lingua straniera, ritenendo che questo faciliterà la quotidianità. Credo però,  che il nome, sia un pezzo fondamentale di un essere umano, e tanto più  per un figlio adottivo. A partire dal fatto che, il nome, nella lingua del paese in cui siamo nati, rappresenta un legame con quella terra, e ancor prima, con chi, quel nome lo ha scelto per noi. Ritengo un regalo, e un segno di rispetto, il fatto che i miei genitori non abbiano aggiunto un nome, italiano, a quello indiano, e poco ha importanza che il mio sia  abbastanza semplice, viene comunque alterato e storpiato variamente, ma è  il mio, mi ci riconosco profondamente. Nell’ intervento sul nome, leggo due cose principalmente: da un lato, il desiderio di semplificare le cose al proprio figlio, proteggendolo da equivoci e derisioni; dall’ altra, una latente negazione di quel che il nome rappresenta,  il non riuscire ancora a guardare la diversità  del proprio figlio, e del modo in cui si è  divenuti famiglia.  Non è  un giudizio, li trovo inutili, ma forse può  essere uno spunto, per ripensare a cosa ha spinto alla decisione di dare un nuovo nome al proprio bimbo/a.  In entrambe i casi, credo che si agisca in base ad un sentimento di protezione, nel primo, verso i propri figli, dimenticando però  che per loro quella verità,  quel legame col passato vale mille volte gli inghippo burocratici, e nel secondo, verso se stessi, proteggendosi, incosciamente, da una storia passata di cui non si fa parte, ma che occorre avere presente, e soprattutto accogliere, in quanto parte fondamentale del vissuto del proprio figlio/a. Credo fortemente, che una vita trascorsa a proteggersi, perda molto del suo sapore, anche perché  dolori e fatiche prescindono le nostre muraglie, e ho scoperto che il modo di fronteggiarsi è  passando dentro,  spogliandosi dalle proprie armature, attraversare gli eventi e scegliere di guardarli con onestà  e gentilezza, verso gli altri e verso se stessi. Per altro, i figli adottivi hanno fatto della resilienza  una compagna di strada,  e quello che può  aiutare è  qualcuno che, con fiducia, si ferma un passo dietro a loro, pronto a sostenerli nelle loro piccole e grandi battaglie, ma senza sovrapporsi a loro, riconoscendone la diversità  e accogliendone ogni parte. Il nome è  legato strettamente all’ identità,  ne rappresenta uno degli aspetti più  immediati ed evidenti, è una delle prime scelte che viene fatta per noi. Quelli dei figli venuti da altri corpi e altre storie, meritano ancora di più,  rispetto e cura, come le cose preziose, che li accompagnano tra mondi diversi, un filo a cui aggrapparsi per trovare equilibrio, camminando  vite nuove. 

Un pensiero riguardo “Il nome, legame tra mondi diversi.

  1. Cara Devi, grazie!!
    La penso esattamente così.
    In terza superiore mio figlio una sera sbottò “perché non mi avete cambiato il nome in Andrea” (N.B. la differenza sta solo nella lettera finale)…. Gli risposi che se il suo nome era stato “Andrei” per 7 anni, non era un nostro diritto cambiarlo. Lo sfogo era nato a causa di un’insegnante che in classe davanti ai 30 compagni gli aveva chiesto perché aveva un nome di battesimo straniero (i suoi tratti somatici non tradiscono la sua provenienza straniera).. Non trovò li per li altre parole per spiegare se non che era stato adottato. A volte può bastare una risposta semplice, “il nome mi è stato dato dai miei genitori, glielo chieda a loro!” (non occorre spiegare quali genitori! Sono fatti privati), ma i nostri figli pensano che gli si chiede conto del proprio passato.
    Serve un vademecum 😉 su come comportarsi con le domande indiscrete :).

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