Ma tu adotterai? Perché non adotti?
Spesso, molto spesso mi viene chiesto. E non sono mai sicura della risposta da dare.
Ci rifletto da tanto, almeno da quando ho pensato di volere dei figli. Immagino sia naturale, per chi è stato adottato, chiedersi almeno una volta come e se vorrà farlo a sua volta.

E so, da quando ho tenuto il mio piccolino in braccio, che potrei essere totalmente madre di un bimbo che non venga dalla mia pancia, e credo che, con i percorsi opportuni, sarei in grado (col mio lui grande) di accogliere la sua storia, anzi, forse potrei avere strumenti ulteriori per comprenderla, uguale e diversa dalla mia.

Ma, so anche, che per me non è una scelta che sento possibile. Infatti, credo fermamente che ogni bimbo meriti genitori che accolgano con amore e una gioia spudorata e leggera, che faccia sbiadire le fatiche, anche se presenti, e possa far guardare al futuro con sguardo fiducioso.

So bene, molto bene, che in seguito il percorso potrebbe farsi impervio, ma penso che, almeno all’ inizio, sarebbe bello essere totalmente fiduciosi, sebbene consapevoli .

E poi, c’è un aspetto che mi è risultato lampante solo dopo averlo vissuto, che mi si è come svelato dopo molto tempo che se ne stava annodato tra i pensieri.
Un figlio che cresce dentro, per me, che sono stata adottata, è portatore di una continuità che per la prima volta, ho sentito anche mia. E non si tratta, in alcun modo, di mere questioni di sangue o DNA, ma di una storia antica, di riflessi e rimandi, di un passato che pur senza volto e ricordi, si fa presente con forza, evocando memorie del corpo, e fissando una certezza. Qualcuno è stato prima di me, e qualcuno lo sarà dopo. Con il Meraviglio, mio figlio, non c’è una netta somiglianza, a parte gli occhi, che quelli si, sono indiani, ma poco altro. Eppure, non mi è mai mancata, non l’ho mai cercata, non ho bisogno di specchiarmi in lui, soprattutto perché reputo che ogni bambino sia una personcina a sé, che certo verrà influenzato da genitori e amici ma che avrà sempre (si spera) la sua scintilla personale. A noi adulti il compito di non spegnerla e renderla sempre più forte.
Sarà la spinta verso quello che si avverte, ma non è così visibile, l’interesse per le verità chiare ma non sfacciate, che mi rende, profondamente commovente, il pensare che in lui c’è una parte di quei genitori indiani che non ricordo, che ma che so ci sono stati. La possibilità, pur non riconoscendoli, di sapere in lui qualcosa di loro.
Continuità. Fili spezzati o un po’ sfibrati, che si riallacciano, senza nascondere i nodi nuovi ma anzi tenendoli stretti, finalmente segno di una fragilità che è divenuta forza.
Per altri sarà diverso e anzi, ho amiche molto care che, adottate loro stesse, hanno poi accolto con l’adozione uno o più figli. Ma ognuno ha il suo viaggio, nel mio sarebbero troppe le ombre che metterei in valigia. Stringo forte un bimbo dagli occhi grandi e i pensieri profondi. Tengo la mano del mio compagno di strada. Lui grande, che mi ha amata, con i miei pezzi mancanti. Lui piccolo e Meraviglio, che ne ha costruiti di nuovi e mi ha fatto sentire intera anche con qualche margine imperfetto.

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