Non ricordo il primo giorno di scuola, ma ho impressa la sensazione di spaesamento misto a curiosità. È la stessa che ritrovo, ad ogni inizio.

Penso con tenerezza ai bimbi adottati che si ritrovano in una scuola nuova per la prima volta; forse è una scuola diversa da quella a cui erano abituati, forse è proprio la prima scuola in cui si trovano, certo potrà essere straniante come situazione.

Vorrei dire loro di non avere paura, di prendersi il tempo per esplorare, conoscere e farsi conoscere, con i modi dei bambini, più o meno grandi, ma sempre tra pari.

Poi ci sono gli adulti, che di tempo ne hanno sempre troppo poco, e gli corrono dietro affannati, pensando di desiderare ore in più, sapendo già che non basterebbero (eccomi, ci sono anche io nel gruppo).

Scuole, spesso brutte, penso a quella di mio figlio, decisamente vecchia e un po’ squallida, eppure con quel fascino dei banchi piccoli, le seggioline e i cartelloni attaccati al muro, le grida nei corridoi, e gli zainetti colorati, troppi pieni e in precario equilibrio.

Aule in cui, a volte, mi sembra, ci si affacci fin troppo presto. Sono sincera non so bene come si dovrebbe o potrebbe fare, tanto più se ad arrivare sono bimbi in età già scolare, ma credo che pochi mesi non siano sufficienti, a creare la sicurezza necessaria. Attaccamento viene chiamato, e serve tutto, per potersi, poi staccare serenamente. Immagino che talvolta siano proprio i bimbi a chiedere la scuola, magari vedendo i fratellini /sorelline più grandi, o perché ci andavano anche prima.

Come fare? Me lo chiedo sinceramente, perché ricordo mio fratello, fuori della classe, sul suo banchino, da solo, perché non sapeva comprendere la parola”ombra” . I tempi sono cambiati, genitori e insegnanti più preparati e con strumenti utili ad accompagnare il percorso (penso alle linee guida e a i tanti testi sull’argomento), ma sento, leggo, vedo ancora tanti bambini soli, forse non più fuori dalla classe, ma comunque lasciati ai margini (ché poi è problema di tutti le fragilità, non solo quelle adottive).

Sarà che quando faccio formazione agli insegnanti, c’è tanta fatica, al netto dell’impegno, che se sono lì si da per scontato, ma li vedo realmente spauriti e quasi spaventati di fronte a dinamiche e storie che non sanno bene come affrontare. E lo capisco, anche da figlia e amica di prof., che agli insegnanti vengono richieste una serie di competenze diverse e complesse, che spesso potrebbero /dovrebbero essere integrate da figure professionali specifiche, ma che mancanza di soldi, informazioni burocrazie varie rendono difficoltose.

Tornando ai piccoli, che poi sono la parte principale, serve tempo, per rendere familiare uno spazio, meno spaventosa l’assenza e sopportabile l’attesa. Nuovi ritmi e nuove scoperte, paure conosciute da fronteggiare.

Non corriamo dietro al bianconiglio dei ” si dovrebbe” e lasciamogli il tempo di sentirsi bambini, anche quando sono più grandi, regaliamo il recupero dell’infanzia.

Informiamo chi di dovere e poi lasciamogli giocare la loro partita, anche inciampando, sempre presenti ma non sovrapposti a loro.

Non è semplice, e, troppo spesso, non è indolore, ma ne vale la pena, sempre.

Un pensiero riguardo “Scuola e bianconigli.

  1. Lasciare ad ognuno il proprio tempo e valorizzare ogni minimo progresso, cara Devi, penso proprio sia questa l’unica strada.
    Lo dico da mamma adottiva, di una bimba (ormai ragazza), alla quale è stato dato il sostegno, ma che la scuola non ha mai gratificato: una gran fatica a mettersi in pari, a rincorrere gli obiettivi minimi, senza avere quasi mai un “brava, fin qui ci sei arrivata!”: tutti sempre a lodare il suo impegno, ma poi i voti dicevano “non ci sei ancora”. Per fortuna mia figlia ha in sé una positività innata e in famiglia ai voti non abbiamo mai dato troppo valore: noi abbiamo sempre festeggiato ogni sia pur minimo successo e lei non si è mai lasciata scoraggiare. Ora è alle superiori e il suo impegno comincia a dare frutti: i voti sono sempre poco gratificanti, ma la soddisfazione di farcela da sola ad ottenere un 6 e mezzo è grande!
    Ma lo dico anche da maestra, che, nell’ultimo ciclo ha avuto in classe due bimbe adottate, di cui una arrivata dall’estero 15 giorni prima dell’inizio della prima elementare: a giugno le ho salutate e le ho viste “volare” verso le medie. Ognuna ha imparato, è cresciuta, ha acquisito sicurezza, si è espressa, è stata arricchimento e si è arricchita nel gruppo classe. Ok, forse non sapranno fare perfettamente l’analisi grammaticale di un verbo riflessivo, ma sanno mettersi in gioco, dare il loro contributo, condividere le loro riflessioni, i loro pensieri e il loro vissuto. Sanno di avere in sé qualcosa di unico e che anche gli altri hanno in sè qualcosa di unico. Uno dei genitori salutando noi maestre ci ha detto: “Avete fatto un miracolo…”, ma non è vero: abbiamo solo creduto in loro, dato loro fiducia, dato loro l’opportunità di respirare questa fiducia anche a scuola… Che è la cosa che fa la differenza in educazione, con tutti!

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