Ai papà che aspettano con una carezza sulla pancia, e a quelli che lo fanno con una foto in mano; a quelli che ci si trovano quasi per caso e a quelli che lo scelgono e magari penano un po’ prima di esserlo; a quelli che fin da subito si sentono padri e a chi ha bisogno di un po’ più tempo, ma poi si scoprono tutti innamorati dei propri figli. A chi è tenuto stretto per mano, e a chi rimane indelebile nei ricordi.
Al mio babbo, per come è stato e al Meraviglio, per come sarà. A Lui grande, per come è.
Lui, che si sveglia accerchiato da una micia coccolona e da un bimbo chiacchierino, entrambi nel lettone alle prime luci. Lui che prepara colazioni e costruisce oggetti e giochi con la stessa perizia e concentrazione. Lui che racconta libri di storia, ascolta racconti di cartoni animati e che sacrifica, sorridendo, la sua privacy in bagno, in cambio del suo bimbo che “ti faccio un po’ di compagnia, eh papà?”. Lui grande che è un papà splendido anche perché è un compagno di strada, sa lasciarmi andare senza sentirsi mai un “mammo o un baby sitter” ed essendo, sempre, un padre presente e molto tenero. Lui grande che impasta torte e biscotti, pialla legno, suona e canta mentre il Meraviglio balla sulla vita, felice di quegli occhi, che lui diceva “castagni”, fissi su di sé.
Auguri ai papà, anche al mio indiano, che chissà se lo ha mai saputo di essere padre, o se proprio sapendolo se ne è andato.
Auguri perché nessuno lo insegna, come si fa, un po’ si prende dall’esempio, un po’ lo si pensa, molto lo insegnano i figli, ad ascoltarli sono le guide migliori.