Ogni anno mi dico che non accadrà, sarò allegra e spensierata, lo meritano i miei bimbi, e un po’ anche io.
Ma ogni anno, puntuale, arriva a mordere il ricordo di tutte le assenze che hanno un posto al tavolo: i miei fratelli, uno zio adorato, un’ amica. Persone del cuore che sarebbe bello avere qui, a scartare regali e bere the caldo, col pandoro, ché il panettone non mi è mai piaciuto, ma forse per loro lo comprerei.
Mancano sempre ma questa ricorrenza acuisce la mancanza, stringe i denti un po’ più forte, e mi trova, immancabilmente, impreparata.
Inzio a combatterla con le luci dell’albero, gli addobbi di legno e stoffa e le canzoni di Natale in sottofondo. La battaglia prosegue con fiocchi e carta da regalo, forbici e biglietti, provando ad annodare nei pacchetti un po’ di sorrisi. Poi è la volta dei biscotti, impasto, stendo, inforno e mentre la casa profuma dei natali da bambina, inizia a scivolare giù un po’ di tristezza, insieme alla farina che si scioglie via, con l’acqua del rubinetto. Preparo lo spuntino per il vecchietto rosso vestito e le sue renne, e sento la voce di mia nonna che mi esorta a dormire, per farlo arrivare prima, e mi scopro a ripeterle, uguali, ai miei piccoli, che, come me, provano invano a vincere il sonno.
È la mattina di Natale, le tovagliette rosse, le tazze di coccio che i miei tenevano per le “belle occasioni” e che io rivendico per un po’ di bellezza quotidiana, piedini veloci e occhioni grandi “Mamma, papà! Hanno mangiato tutto! Tuttissimo!”
Tra le grida, le manine sporche di colazione che strappano la carta, gli abbracci e le canzoni, i natali di ieri si mescolano con quello di ora e mi fanno promesse per quello che sarà.
Ogni anno mi coglie impreparata, e mi sorprende. Ogni anno non sono spensierata ma ho sorrisi, abbracci e manine tenere che sciolgono i nodi e mi rendono un Natale felice, stropicciato di vita.
Perfetto e sorprendente.