Ieri c’era questo cielo, azzurro e con le nuvolette come nei cartoni di quando ero piccola, in cui mangiavano fette di pane e il formaggio che si scioglieva che mi sembrava dovessero essere buonissime, e guardavano tutti con il naso all’insù su questi cielo bellissimi.

E pensavo a loro, in Afghanistan, come le raccontiamo, che parole scegliamo per narrarne le storie, se abbiamo rispetto di racconti che non ci appartengono e a cui dobbiamo cura e attenzione, e se si riconoscerebbero nelle parole che spendiamo per loro o se piuttosto preferirebbero ascoltassimo e basta, col rischio però di far passare troppo sotto silenzio.

Non ho le risposte, e non so cosa e come fare al meglio, ma come sempre almeno porsi le domande mi pare importante.

Mi sto chiedendo anche che parole usare per raccontare al meraviglio cosa sta accadendo e come poter rispondere se mi farà domande.

Intanto leggo, cerco e provo a mettere in ordine le idee.

Lo so, è un post scombinato, iniziato in un modo e finito altrove, d’altronde così è adesso per me, pensieri pesanti che vagano sulle notizie e la normalità della mia vita fortunata che entra, prepotente, con il rumore dell’estate e i panni stesi sui fili del balcone.

#leparoleperdirlo

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