Avere cura.

Ma senza parlare di di colpa, che sottende fin troppi strati di moralismo,  mi piace pensare alle responsabilità e lì sì che se ne riconoscono molteplici e con un peso significativo, perché ci sono adultə che non fanno il loro lavoro , che non pensano all’importanza di costruire gruppo, di tenere insieme tuttə, di accogliere fragilità ma piuttosto scaricano tutto su figure esterne e comunque lontano da sé. Ci sono riflessioni sulla fragilità che questo nasconde ma non ora e soprattutto se sono adultə, non a discapito dei bambinə .

Sono state lacrime di frustrazione e di ( forse) impotenza nel sapere e vedere che strategie da proporre ce ne sarebbero ma che non vengono neanche prese in considerazione perché manca un passaggio fondamentale: mettere in discussione che il proprio approccio se non ,anche, almeno un po’ se stessə.

Mi porto dentro un senso diffuso di ingiustizia ma visto che  non so arrendermi a questo se penso si possa fare qualcosa, proverò a fare quel che posso, senza occupare spazio che non mi competono ma solo offrendo la mia parte, come so, come riesco.
P.s. questo non è un post contro i docentə, di cui stimo il lavoro che fanno, e di cui conosco una rappresentanza che svolge bene e con impegno trasversale il proprio compito. Ma è perché sono sempre troppo pochə, perché sempre più sembra di essere fortunatə a trovarne, mentre dovrebbe essere garantito.





Patriottismo.

Lo ammetto, non ho alcuno spirito patriottico, nessun orgoglio per essere cresciuta (per altro, casualmente) in questo paese fortunato (?), né sento un vanto delle famose “eccellenze” italiane. E questo, non perché non ne riconosca il valore (quello lo apprezzo)o perché non sia consapevole di essere certamente frutto della cultura italiana, che fa parte della mia vita e della mia forma mentis, ma perché, per me, avrebbero lo stesso valore se avessero luogo in altri posti.

Qualcuno mi ha detto “è perché tu, sei stata adottata, sei senza patria in fondo”. E chissà, forse è un po’ anche per questo, pur conoscendo tante persone adottate che invece hanno molto orgoglio patriottico e senso di appartenenza, magari per entrambi i propri paesi.

Immagino che sia più che altro perché, da sempre, mi sono sentita fuori posto, non a mio agio, totalmente, in nessuno luogo o condizione. Un po’ scomoda, un po’ pesce fuor d’acqua, con pensieri troppo veloci e troppo “da grandi”, la mia nonna Anda, mi diceva, “sei nata vecchia” e nel suo modo schietto e poco gentile aveva ragione.

Poi, il tempo, moltissimi libri e qualche incontro illuminante mi hanno fatto cambiare prospettiva.

Ho deciso che essere scomoda poteva diventare la mia spinta a cercare di essere felice a modo mio. Che il non sentire radici forti in una terra, poteva essere libertà anziché mancanza, regalarmi il respiro ampio di saperle dentro le mie radici, me le sono cresciute e me le porto a spasso, senza timore di smarrirle, avendole costruite mutevoli e in cambiamento, per seguirmi in ogni passaggio importante.

Radici che non toccano terra ma spingono in alto, dove i paesi, e soprattutto chi li abita, appaiono in quella che è, per me, la loro essenza più profonda, tutti diversi, fondamentali nella propria individualità, forti solo se uniti e solidali. A quell’ umanità così fragile e fallibile, imperfetta e bellissima.

Forse, mi sento senza patria.
Ma so benissimo a cosa appartengo.

#leparoleperdirlo #adozioneraccontata #narrazioniadottive #radici

Rappresentarsi.

Qualche giorno fa mi è comparso uno spezzone di una serie TV , stava passando in sordina quando ho sentito il mio nome sullo schermo: una delle protagoniste, di origine indiana, si chiama come me.

Folgorazione.

Dopo almeno 30 anni ho sentito il mio nome in un’opera di intrattenimento mainstream occidentale. È stata una sensazione incredibile, fortissima pur nella consapevolezza adulta. Ma per quell’ attimo, il sorriso che mi ha disegnato in faccia era quello della me ragazzina e l’ho riconosciuto subito anche se era la prima volta che lo facevo, d’altronde era la prima volta che mi accadeva di sentire il mio nome in un contesto simile.

Quanto parla questo sorriso di una generazione per cui era normale non vedersi rappresentatə, per cui sembrava non fosse neanche un problema perché pensavamo non fosse pensabile e infatti siamo cresciutə con uno sguardo anche estetico tarato sulla bianchezza circostante.

Il punto non è solo che non avessimo (quasi) amicə di origini altre ma che sembrasse (quasi) normale.

Per quanto mi riguarda le amiche e gli amici di altra origine erano tuttə statə adottatə, il che è stato una salvezza per alcuni aspetti ma certo non mi ha messo in contatto con la possibilità di immaginarmi grande in altro modo che non fosse quello tutto bianco in cui non riconoscevo i miei tratti ma spesso il mio gusto si.

Questo essere ibrido mi rendeva informe ai miei stessi occhi e sono serviti molti incontri e molti, moltissimi libri, saggi certamente ma ancora di più letteratura per cercare di costruire un immaginario che non fosse troppo distante da me.

Perché certo, col tempo ci sono state le attrici di Bollywood e si, portavo capelli cortissimi come Arundhati Roy che scriveva di quella terra che non conoscevo affatto pur avendola, in qualche modo, dentro. Ma sono state ancora di più un amica che per studio e lavoro ha vissuto lì, e mi consigliava romanzi, e un’ altra che mi portava saree e the. Entrambe bianche, sono state i miei tramiti per costruire un identità ibrida in cui proprio il loro avere in comune con me un mondo culturale simile, oltre all’affetto, ha fatto in modo che anche attraverso il loro sguardo quell’India così distante per me si facesse più familiare.

È un processo che può apparire strano o contorto ma in realtà non è raro che gli avvicinamenti alla cultura del proprio paese di origine avvengano inzialmente anche per vie traverse, penso ad alcuni passaggi di “Couleur de peau : miel” di Jung e Boileau o anche al recente ritorno a Seul dove la prima tappa poi deviata era un oriente diverso ma non così lontano dalla Corea ( a cui comunque la protagonista arriva, chissà se così casualmente) così come altri esempi ancora.

È che cercare uno spazio che possa contenere tutto è un lavoro difficile, seppur affascinante ( ma questo forse più alla luce di un’adultità raggiunta), e segue percorsi personalissimi e diversificati, strade traverse e inedite. Trovare qualcunə che ti ascolti in questo cammino non è scontato, per quello che posso cerco di esserlo ogni volta che né ho l’occasione, avere cura di quello che ti viene consegnato e confidato è una delle azioni più preziose più delicate che conosca, ma questo è un’altro post che ho tra le dita e che arriverà.

Presa dal momento ho dimenticato di quale serie TV si trattasse, se qualcunə la intercettasse e volesse dirmelo sarei felice.

leparoleperdirlo #narrazioniadottive #adozioneraccontata #rappresentazione

Di narrazioni distorte e limiti da riconoscere.

Ho guardato la puntata del programma TV, ho letto ancora prima le notizie che riportavano della presenza del “figlio adottivo” al funerale del padre, ho letto della gratitudine che pare dovuta se sei statə adottatə, più tutta una serie di notizie tragiche o più o meno scandalistiche, negli intenti di chi le raccontava, relative ad adozioni di vario tipo.

Come sempre mi sono presa un po’ di tempo e già ci sono analisi lucide e puntuali, aggiungerò solo qualche riflessione, che magari potrà essere spunto.

Guardare il servizio TV è stata una forzatura, come per moltə, e ho provato un senso di profondo disagio davanti allo scorrere delle immagini. Non solo per il voyeurismo indotto dal tipo di storia, e neanche la comprensione dell’emozione trasmessa pur nella terribile modalità proposta. Piuttosto indignazione davanti all’ennesima volta in cui una storia di adozione è stata raccontata in modo così errato, fumoso e bieco, oltre al fatto che non si riconosca che tra le tante narrazioni date in pasto al pubblico nessuna sia quella dei protagonistə, ma sempre quella di cui i media di vario genere si sono accaparrati il diritto di utilizzare per portare avanti il loro racconto interessato.

Quello che mi ha colpito di come è stata raccontata ciascuna vicenda è la varietà dei modi con cui si può riuscire a proporre narrazioni falsate, polarizzate, parziali e miopi sul tema e soprattutto mi lascia interdetta, per quanto non stupita, che narrazioni deleterie vengano proposte da chi nel mondo adottivo agisce e vi ha un qualche ruolo.
Vi è una distanza che dovrebbe/potrebbe esserci e invece non c’è, tra le narrazioni esterne, quelle di chi non sa ( seppure non sia una scusante così valida) e quelle di chi dovrebbe sapere ma nonostante questo perpetua narrazioni negative, spesso non consapevoli ma altrettanto spesso granitiche e prive di dubbi.

Se infatti all’esterno si racconta di adozione spesso con ignoranza e pietismo è lo sguardo che trovo all’interno che mi lascia perplessa, per quanto non stupita.
Tempo fa un’amica mi disse che mi ostinavo a vedere attraverso occhiali a cuore con le lenti rosa, e pur rivendicando il piacere di dare una sfumatura rosata a mio piacimento so ormai per certo che le lenti si sono frantumate.

Il mondo adottivo stesso è impregnato di pregiudizi e certezze granitiche che sono preoccupanti tanto quanto, se non di più, di quelle che arrivano dal mondo esterno.

Di volta in volta, di cronaca in cronaca le persone con una storia di adozione dovrebbero farsi scivolare e non dare peso alle parole che vengono loro rivolte, non fare caso alle etichette che anzi, per primi si autoinfliggono ( e quindi è colpa loro tutto sommato) e non spaventare le famiglie, i futuri genitori che, troppo spesso in cerca di un decalogo salvifico, sono assetati di “testimonianze” e “storie vere”, sempre che possano essere tragiche, per potersi dire che a loro non accadrà o edificanti, per rassicurarsi che certo il loro caso sarà proprio quello e ə loro figlə avranno un modello da seguire.

Altrettanto importante e non in contrapposizione anche se potrebbe sembrarlo, è la necessità, l’urgenza anche, che proprio le persone che a vario titolo formano, ascoltano raccolgono richieste di aiuto e sostegno o si spendono per aumentare sempre più il livello di consapevolezza, proprio queste persone, rimangano sempre in ascolto di cosa viene da fuori senza a loro volta il pregiudizio di ascoltare necessariamente una voce avversa.

Credo fortemente che siamo tutti altrə rispetto ad alcuni argomenti, solitamente quelli che non ci toccano personalmente, e dunque siamo tutti fallibili, ipoteticə portatorə di domande sciocche, ingenue o banali.

D’altronde, di solito, chiunque le abbia subite sa che si distinguono perfettamente le domande ingenue da quelle cattive ,le provocazioni dalla curiosità e lungi dal voler giustificare o minimizzare la sofferenza che comunque, anche al di là delle intenzioni, tutte possano portare, credo che questa diversità serva tenerla presente.

Certo c’è una differenza, nettissima, dettata dal desiderio e dalla capacità di addentrarsi nelle proprie certezze, dalla disponibilità a saperle sgretolate, coltivando invece le domande, il dubbio, e potendo pensare che le risposte più che trovarle vadano cercate.

Stiamo tuttə allo stesso dentro e sulla soglia di mondi diversi facciamolo con gentilezza che alla fine non è altro che riconoscere le proprie fragilità in chi abbiamo di fronte e accoglierle.

#leparoleperdirlo #narrazioniadottive

Buon non-compleanno n.37

Trentasette anni fa atterravo in una nuova parte della mia vita, non sapevo ancora che sarebbe stata una tra tante ma certo una di quelle determinanti.

Da sempre in questo giorno vivo di ambiguità, solo da adulta mi permetto di viverle, facendo spazio ad emozioni aguzze e sentimenti contrastanti che adesso accolgo con tenerezza , in ascolto. Li tengo stretti insieme alla serenità di adesso, sapendo che non è scontata e conoscendo ogni passo servito per conquistarla.

È un gioco di equilibrio riuscire a fare spazio per quello che è senza rinnegare niente di quel che è stato e pensandomi anche altre vite possibili, non come esercizio di fantasia ma per curare strappi che non hanno risposte sicure e ammettendo a me stessa che avrebbero potuto avere felicità differenti ma che, semplicemente, non sono state.

Felice e instabile allo stesso tempo a sostenere il mio sguardo allo specchio in cui da sempre cerco anche lei, e sapere che in qualche modo mi è dentro anche quando non la so e che forse la imparo anche solo riuscendo a vedermi, un pezzetto di più, ogni volta che ne ho il coraggio.

Buon non – compleanno a me, che tengo insieme chi c’è e chi c’è stato, buon non – compleanno a me che mi tengo forte per stare sul filo, sicura abbastanza da poter ondeggiare, per non aver paura di cercarmi ancora.

#adozioneraccontata #narrazioniadottive #adopteestories #leparoleperdirlo

Adottato/AdottivoSentirsi, essere, definirsi

Da tanto, intorno a questo aggettivo si muovono discussioni e riflessioni perché come per ogni cosa che tocca profondamente più parti vi sono molteplici aspetti da tenere presenti.
Questa è quindi solo un aggiunta ad una riflessione più ampia che si sviluppa da tempo, un modo per fare il punto prima di tutto per me e che magari può essere utile anche ad altrə e perciò la condivido.


Il focus intorno a cui si dibatte è l’opportunità di utilizzare l’ aggettivo “adottato/adottivo” per definire persone con background adottivo o i loro genitori.
Come spesso accade credo che molto, se non tutto, dipenda dal contesto in cui il termine viene utilizzato che ne determina anche la valenza e per questo ritengo che ci siano due modalità in cui possa essere effettivamente utile o giustificato l’utilizzo del termine: quando l’attenzione  è rivolta alla questione adottiva con le sue specificità, per cui parlare di gentori adottivi o di figliə che sono statə adottatə è propedeutico alla riflessione; quando sono le persone stesse ad autodefinirsi, perché piaccia o no l’autodefinizione è uno degli aspetti strettamente personali, che contribuiscono alla costruzione identitaria e che seppure parziali meritano una sosta in quel che raccontano. Tenendo poi presente che le definizioni e le autodefinizioni ancora di più sono in continuo movimento e non statiche, seguendo i percorsi di consapevolezza che ognunə intraprende .


Ritengo invece fuorviante ed errato utilizzare l’aggettivo adottivo/adottato negli altri casi, quando diviene lo strumento per sancire graduatorie di merito filiale o di valore genitoriale, per distinguere tra un presunto superiore legame biologico e quello creato attraverso l’adozione e identifica motivazioni per le quali differenziare in base a questo parametro atteggiamenti di vario genere.
D’altro canto ritengo rischiosa, seppur in altro modo,  anche la negazione dell’utilizzo del termine a priori, laddove mi pare servile ad un appiattimento tanto rassicurante quanto  fuorviante, e che vedo agire spesso nello stesso mondo adottivo, e temo sottenda il desiderio di valorizzare la genitorialità adottiva, ma avendo un effetto opposto a questo.


Tenendo come punto fermo che da un punto di vista affettivo ed emotivo non credo ci siano differenze tra le famiglie divenute tali tramite adozione e le altre (salvo quelle differenze ovvie e che,fortunatamente, rendono unica ogni famiglia)ritengo che sia invece saggio saper guardare alle differenze oggettive che possono esserci, senza che questo aggiunga o tolga valore a nessuna genitorialità ma semplicemente ne riconosca le peculiarità. Sostenere che non vi sia alcuna differenza tra famiglie ( adottive e non) trovo possa rappresentare un rischio laddove porta come conseguenza una pericolosa miopia rispetto alle specificità che invece necessitano di essere riconosciute ed individuate, avendo peraltro come conseguenza positiva il poter distinguere tra ciò che può essere ricondotto e affrontato come dinamica familiare a prescindere dalle tematiche adottive  e per cui vi saranno metodi e strategie altre  da poter attivare e quello che invece è attinente all’adozione e necessità quindi uno sguardo attento e esperto di determinati meccanismi.


Che l’amore non basta è ormai una certezza, trovare come affiancarlo e sostenerlo è un impegno e una sfida tanto appassionante quanto impellente per tantə e lavorare in sinergia l’unico modo che credo davvero efficace per trovare domande sempre più mirate e risposte sempre più articolate.


In un panorama che deve essere pieno di quesiti e poco adagiato sulle certezze ho però una sicurezza: un pensiero complesso e trasversale sia uno strumento prezioso e da allenare costantemente, fuggendo dall’ appiattimento rassicurante ma semplicistico che troppo spesso viene attuato e auspicato.
Di lavoro ne vedo ancora tanto ma ho anche moltə compagnə di strada con cui farlo.
Ci riusciremo?

#adozioneraccontata #narrazioniadottive #adozione #leparoleperdirlo

Privilegio.


Oggi mi sono scontrata con il privilegio in modo inaspettato e che mi ha colpita forte, come uno schiaffo.
Oggi mi sono scontrata con il privilegio.
Il mio.

Per questioni personali stavo parlando con una persona e mi sono resa conto di vivere un privilegio di cui si, ero teoricamente consapevole, ma che non avevo mai visto in modo così chiaro.

Non importa di quale privilegio si tratti, quello contro cui ho sbattuto è stata la difficoltà che talvolta si ha nel riconoscere i propri privilegi nelle pieghe della vita che ci è sempre sembrata normale, e a cui quindi non abbiamo pensato.

Me ne sono accorta e all’inizio ho provato un moto di imbarazzo misto a senso di colpa (quello sempre, non me lo lascio scappare), a cui è seguito l’ impulso da “aggiustatrice”, una sorta di deus ex machina senza effetti speciali ma con la stessa spinta risolutrice.

Ho respirato e mi sono morsa la lingua.

Ho ascoltato. Poi, e solo poi, davanti ad una richiesta ho risposto.

È stato un momento difficile e ringrazio di essermi i trovata, di aver fatto fatica.

Perché molto spesso sono chi fa notare i privilegi altrui, chi prova a riconoscerli e scardinarli e pur riconoscendo i miei più immediati e visibili credo sia molto utile trovarsi dall’altra parte almeno per tre buoni motivi.

Primo, per trovarsi nei panni di chi, in buona fede, non conosce i propri privilegi ma è (più o meno) pronto a mettersi in discussione;

secondo, per ricordarmi sempre che si possono avere privilegi e allo stesso tempo non averne altri, perché siamo esseri complessi, articolati e imperfetti. Per fortuna.

Terzo, per ricordarmi che avere privilegi ( ne abbiamo quasi tuttə) non è di per sé una colpa ma evitare di guardarsi per paura di doverne ammettere, ormai non credo sia più accettabile.

Oggi sono cresciuta ancora un pochino.

#privilegio
#leparoleperdirlo

quando “Anche” svanisce

In giornate come quella di oggi, in cui ho fatto coi bimbi anche cose piacevoli ma ho sentito molta fatica nel gestire i loro ( normalissimi) conflitti, i giochi, le urla, il caos, il bisogno fisico e mentale di entrambi di essere visti, accolti e ascoltati, arrivo a sera e so che quando sono a scuola io sono una madre migliore.

Amo essere anche la loro mamma, ma quando “anche” sembra svanire e l’essere madre pare mangiarsi tutto mi rendo conto che mi è necessario essere anche tutte le altre me, con il lavoro che amo, le passioni che coltivo, le relazioni che cerco di alimentare con le persone a cui tengo.

Quando non posso, per contingenza, essere anche le altre me, la me madre è peggiore, molto peggiore. E non so neanche se vorrei fosse diverso, se vorrei davvero che il tempo con loro mi appagasse totalmente, perché saprei di essermi snaturata, di star tralasciando qualcosa di prezioso che mi è caro: una parte di me.

Ognunə vive l’essere genitore come sente e come può, io sono sempre più consapevole che al netto dell’ amore ( immenso) e della gratitudine ( tanta e profonda) per averli nella mia vita, l’essere madre è una parte di me ma non tutto e quando l’equilibrio salta, accuso il colpo.

Che poi questi giorni ce li stiamo anche godendo tanto, e questi non sono pensieri di recriminazioni o rimpianti, ma solo il tentativo di dipanare e mettere in fila il groviglio che a volte sembra avvolgermi ( solo a me? Non so, non credo…) e che pur sciogliendosi nei loro respiri addormentati, sento il bisogno di mettere in parole, che poi è il mio modo migliore di spiegarmi a me stessa.

1 gennaio 2023

Benvenuto al nuovo anno, senza

propositi né aspettative, piuttosto speranza di sempre più abbracci e viaggi spensierati.

Tengo strette le persone, ché sono l’unica vera cosa importante.

Lascio la paura di non avere il controllo, tengo la meraviglia di allenare lo stupore e ricercare leggerezza.

Tengo stretti i miei bimbi e penso anche agli altri, a quanto insegnano senza neanche saperlo, a quanto mi incantano e mi regalano.

Lascio andare quel che non mi è piaciuto di me, lo saluto con parole gentili e aspetto di scoprire cosa saprò fare, ad occhi aperti e il sorriso in faccia.

Che sia un nuovo anno di belle sorprese e incontri per tuttə!

buona fine anno

Sono curiosa di quel che sarà, mi emozionano gli inizi perché si portano dietro un po’ della fine ma aprono nuove finestre.

E aprire le finestre su ciò che è fuori, altro e distante da me è l’augurio che faccio per il nuovo anno, insieme alla voglia di allenarmi allo stupore per ciò che arriverà .

Buon festeggiamento per ringraziare di quello che è stato o per scrollarselo via chiudendo la porta, ma soprattutto buon inizio, che l’anno nuovo sia bello, qualsiasi cosa significhi per voi.