fine anno

Un anno intenso, in cui ho imparato tanto, sono inciampata e ho corso più forte. Un anno di amicizie sempre più importanti, intrecciate tra vecchie e nuove, ognuna a suo modo, indispensabile. Un anno che ha rimescolato le carte, portando soddisfazioni ma anche molta stanchezza. Il mio lui grande accanto e lui piccolo che mi cresce sotto gli occhi, battendo un ritmo tutto suo, che mi incanto a guardare.

Le fini hanno un sapore romantico e mi piace salutare quello che è stato, ma è il nuovo inizio che amo, ci vedo dentro i sogni che potranno essere, i progetti e le sorprese da cui mi lascerò stupire. Buon festeggiamento per ringraziare di quello che è stato o per scrollarselo via chiudendo la porta, ma soprattutto buon inizio, che l’anno nuovo sia bello, qualsiasi cosa significhi per voi.

pirati e colla glitter

Io e lui, la mattina da soli, il pomeriggio con la sua amica I. che è venuta a giocare. Sono stati ninja con le spade rosse e blu, saltellanti per casa, poi hanno curato peluche, canticchiando insieme, hanno disegnato con la colla glitter (anche la coda della micia sbrillucicava dopo) e hanno fatto biscotti. Si sono raccontati molte cose, lui le ha dato il suo sgabello per lavarsi le mani e mi ha detto “brava mammina!” quando ha visto il barattolo con i biscotti di I. pronto da portare a casa della sua amica. Lei mi ha detto che ho dei bei capelli, profumati, e ha fatto un “ohhhhh” di incredibile entusiasmo, per il suddetto barattolo.

Poi la cena a chiacchierare, la tisana sul divano e due storie della buonanotte, ché è vacanza e ci si godono gli strappi alle regole.

Vita con il Meraviglio.

attese da ricordare

Giorni di attese, alcune col fiato un po’ sospeso, e ci vorrà ancora un po’ per renderle totalmente serene, altre solo curiose e belle, profumate di un bimbo che sorride nel sonno , con la manina sotto la guancia, come nei disegni, e che si sveglia la mattina esclamando “io sono un bimbo felice!”, catapultadomi giù dai sogni e correndo dai nonni, in cucina. Aspettare che le assenze brucino meno, ma trovarle sempre qui, in questa casa che le ha conosciute quasi tutte e ne conserva i ricordi. E fa un po’ male e un po’ commuove, sentire lui piccino che le nomina (solo con me) senza il dolore della mancanza ma con una familiarità che è una carezza. Sapergli raccontare chi non c’è più e non per vecchiaia, è uno dei pensieri che mi accompagna da sempre. Lui rende tutto semplice. Buona vigilia a noi, con le carote per le renne, il bicchiere di latte e i biscotti toscani, tutto su un vassoio a fiori molto vicino alla finestra, “così è più comodo per lui, che è un po’ cicciottello e stanotte deve fare veloce”. Le attese le ho sempre amate, questa la ricorderò certamente.

aspetto la neve

Le chiacchiere con un’amicasorella e un pranzo improvvisato con Lui grande, di quelli che a darsi appuntamento non si trovano gli incastri e invece così ci siamo regalati un po’ di tempo. Una passeggiata lenta, a cercare natale per la città, trovando in modi diversi l’aria di attesa che ho sempre amato. E quest’anno aspetto natale ancora di più, saranno vacanze lunghe fiorentine, e poi trentine, come sempre, e non vedo l’ora di trottolare tra gli affetti, fare un po’ la figlia e allo stesso tempo, godermi essere una mamma piena di stupore insieme al Meraviglio. Perché io non sento mia alcuna religione ma coltivo la spiritualità che è in me e anche nel piccoletto, che mi dice “mamma, quando ascolti la musica e chiudi gli occhi, puoi andare dove vuoi, sempre”.

E domani dicono che sarà neve, e io l’aspetto, col naso in su e i guanti pesanti, il fumo che esce dalla bocca e gli occhi pronti allo stesso stupore, da sempre, al vedere i fiocchi cadere.

bimbo gentile

Un Meraviglio gentile, che regala giunchiglie, amiche riviste dopo troppo tempo, un pezzo di famiglia che, tornato, si gode la facilità di un’ ora sola di distanza; un cinema in cui non entravo da quando ero piccola, un film in un pomeriggio di pioggia, una mostra bellissima e ispirate, insieme alla mamma, per una giornata noi due. I viaggi in treno con lui piccolo, leggere, colorare e guardare fuori dal finestrino. Tornare a casa, da una micia coccolosa, e ridere con un papà stanco di sciate, sole e neve, che condivide col piccolo, ancora qualche golosità portata in valigia.

Il pigiama pulito, la tazza bollente che profuma di limone, una serie tv da provare a guardare in due, sapendo che sotto la coperta è sul divano, il sonno ci coglierà prima di quando pensiamo.

Va bene così.

madre di figlio maschio

Lui, che invita le amiche per fare biscotti e crostatine e mi chiede di prendere la marmellata che piace loro. Lui, che la sera mi chiede storie “a puntate” da ritrovare ogni sera col segnalibro e la parole esatta. Lui che declina la mancanza su di sé ma sa che se parto, torno felice, “mi mancherai – dice – ma tu vai sul treno per raccontare le storie. E poi, raccontarle anche a me, quelle che vedi”. Lui, che domenica “io andrei ad un museo bello”, e ci divertiremo a cercare le facce buffe nei quadri. Lui, che sa cosa vorrebbe per natale, ma “non saranno troppe cose da portare giù dal camino dei nonni?”. Moderato nella lista e sfacciato negli amori, da chiedere extra-large, “un natale tutti insieme, coi nonni e le cugine e le zie e gigi il cane. E poi la vecchietta volante con le altre zie! Che tante persone per festeggiare!”.

Lo guardo, sorrido e mi torna fiducia. Perché di piccoli uomini così, gentili e curiosi, ne conosco, e penso diventeranno grandi facendo la differenza.

Da donna, e madre di figlio maschio ci penso spesso, a questa responsabilità, bellissima, che ho.

la gentilezza ci salverà

Eccomi.

Prima di tutto, ancora Grazie. Perché sentire tanta vicinanza è una carezza sulle ombre, e se anche non le dissolve tutte, dà una buon aiuto a rischiararle.

Poi, ho letto spesso “non ti curar di loro” e, ne capisco il senso, soprattutto perché proveniente da persone che mi sono più o meno vicine e che quindi vorrebbero che non mi facessi ferire più di tanto da certe meschinità. Eppure, pur sapendo che non è sufficiente, che non basterà, credo sia necessario che io racconti (peraltro, ahimè senza avere sul momento la risposta pronta, quella mi arriva sempre dopo) quello che accade e che mi tocca profondamente. È il mio modo, pur piccolo, parziale e forse inadeguato, di non omettere, di portare alla luce quello che accade. E non per “fare la vittima” come ha commentato una persone che neanche mi conosce, ma perché sento il preciso dovere di farlo, per ogni volta che viene agito qualcosa di simile verso qualcuno che non ha, per qualsiasi motivo, gli strumenti, la forza o anche solo la voglia di farlo e raccontarlo. E sento sia giusto così, in prima persona, mettendoci la faccia, e con le parole, che sono lo strumento che meglio destreggio.

Perciò, ancora Grazie ad uno ad uno a tutti coloro che hanno scritto, a chi mi ha abbracciata e mi ha rivolto sorrisi e dolcezza.

Io mi curo (anche) di quegli altri loro, un po’ ottusi un po’ ignoranti, spesso meschini, sicuramente tristi, a parole e sorrisi, ostinatamente.

Perché la gentilezza ci salverà, la bellezza renderà più facile perseguirla, ma un bel po’ di ostinazione, aiuta a non abbattersi (troppo).

non sono io, sono loro

Ogni volta che accade, resto interdetta, quasi a non credere che sia proprio successo.

Oggi, in treno, mattina presto.

La signora che avrebbe il posto accanto al mio, si avvicina e, dopo avermi fissata, dice al suo compagno di viaggio “Non mi piace mica tanto questo posto, sai? Meglio se ti siedi tu.”. Lui obbedisce e, dopo poco, sguaiato, parla ad alta voce al telefono “ahaha sai, è proprio il posto dei poveri, non farmi parlare.”

Ammetto, inizialmente non ho subito colto l’ignoranza totale. Ma, lo sguardo imbarazzato, dei ragazzi seduti vicino, mi hanno fatto suonare il campanellino in testa.

Accade, è già accaduto e accadrà ancora.

Tutte le volte, resto basita e nonostante la sicurezza acquisita col tempo, è sempre come uno schiaffo in faccia.

Perché io, io non ci penso mai, che per qualcuno, il solo fatto di avere un elemento di diversità, possa rappresentare un problema. Non qualche mia azione, ma qualcosa che non dipende da me. Quella diversità scritta addosso che ho imparato ad amare, e in cui, mi riconosco, con una buona dose di onestà verso me stessa.

Mi fa riflettere il fatto che, ogni volta, per qualche frazione di secondo, mi viene il dubbio di aver interpretato male, di avere una lente distorta che mi riconduce sempre lì. Poi, di solito, gli sguardi di chi è presente mi riportano alla, amara, realtà.

Nonostante tutto, fa male e fa tristezza, anche se ora lo so, dopo anni.

Non sono io. Sono loro.

febbre e bimbi sperduti

Il piccolino ha preso l’influenza, e se ne sta rannicchiato, tra coccole e coperte, sul comodino una tisana col miele e il libro di fiabe di Andersen, che abbiamo iniziato a leggere proprio oggi. Lo guardo, si addormenta ancora tenendo la manina nella mia. E penso a quei bimbi a cui l’infanzia è negata, quelli che si inventano genitori di sé stessi, perché nessun altro si prende cura di loro. Qualcuno di questi bambini lo conosco ora, ormai adulto, e per quanto abbiano vite piene, addirittura felici, quello sguardo da bimbi seri, a cui non è permesso neanche sentirsi smarriti, lo conservano sempre.

Misuro la febbre al Meraviglio, e penso ai bimbi sperduti là fuori, sperando (invano, lo so) che non debbano crescersi da soli, non tutti, almeno. Non sempre.

Perché diventare genitori, non è un diritto. Avete una famiglia, essere bambini felici, dovrebbe esserlo.

toni diversi ma stesse questioni

Non credevo servisse, e invece forse si.

Perché per qualcuno sono troppo pacata, ho toni sommessi, e ad altri, questo può sembrare il segno di non condivisione di alcune questioni.

Non è così. Al di là dei toni, più o meno veementi, sono molte le istanze in cui mi ritrovo, di cui sento l’urgenza, di cui credo si possa e si debba finalmente discutere. Certo, per me, ho bisogno anche di una visuale ampia, che tenga conto di punti di vista altri dal mio, che lo arricchiscano e lo integrino, anche con un confronto acceso se serve. Sempre, su questo non derogo mai, con rispetto reciproco. Rispetto che passa dal non cadere in personalismi sterili, o nel ricondurre le idee ad una qualsivoglia esperienza di vita. Non lo faccio io, desidero un viceversa. Sarà che, quando scrivo o espongo in altro modo i miei pensieri, questi sono sempre frutto di una riflessione profonda, e cerco (lo so, non riuscirò sempre ma ci provo) ad astrarre quello che è il mio vissuto, per allargare il raggio di elaborazione. Uso la mia esperienza, e credo sia utile, così come altri utilizzano la propria (solo questo mi sembra una modalità possibile, utilizzare ciò che ci appartiene, non mai quello che attiene ad altri), e da lì si prova a riflettere su qualcosa di più ampio.

Sento sempre più spesso dire, che ” voi persone adottate dovreste essere unite”, “se faceste fronte comune” etc etc.

Da un lato capisco, è vero che insieme si vincono più battaglie che separati. Ma dall’altra, credo non sia ancora il momento. Abbiamo appena iniziato a farci ascoltare, a sollevare domande, ad essere un po’ scomodi. E si, lo facciamo in modo diverso, perché diversi siamo noi, e se è reale che abbiamo alcuni punti in comune su cui talvolta ci troviamo, è altrettanto vero che abbiamo visioni differenti, modalità anche molto distanti.

Per questo credo sia presto per “fare fronte comune”, perché ritengo sia ancora troppo urgente l’allenare queste voci a farsi avanti, e a sentire le cose diverse che diciamo. Più complicato, più faticoso ma infinitamente più utile. Quando sarà normale essere ascoltati e visti, allora forse verrà il tempo di trovare obiettivi comuni, per ora mi sembra vitale confrontarci così, adulti e consapevoli.

Adesso è ancora il momento di prenderci la parola, con accenti diversi e in cerca di equilibri.

Io vedo fermento, e lo trovo bellissimo.