Torno a casa da un bimbo col febbrone, le guancine arrossate, il respiro più pesante. Lo guardo, nel suo mare di coperte azzurre. E non posso evitare di pensare ad un piccino di otto mesi in fondo al mare, quello vero, stretto alla sua mamma, e come loro, ai troppi che proviamo a non pensare; io ricordo Elia, che a otto mesi aveva preso la varicella, ed io ero preoccupatissima, perché era la prima volta che stava davvero così male, con la febbre alta e pianti sconsolati. Sento, so di non saperlo, e non volerlo neanche immaginare, un dolore così grande, che mi salgono le lacrime al solo pensiero: una madre che stringe il suo piccino, tenendo nell’unico posto sicuro, per gli ultimi istanti di vita. So, che lei sapeva, che erano gli ultimi.
Accarezzo il mio bimbo, tra le onde morbide di cotone blu, ed ho la netta percezione della mia fortuna. Come ogni fortuna, casuale e illogica. Non so, se potremo mai assolverci.

Un pensiero riguardo “Mari.

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