Da tanto, intorno a questo aggettivo si muovono discussioni e riflessioni perché come per ogni cosa che tocca profondamente più parti vi sono molteplici aspetti da tenere presenti.
Questa è quindi solo un aggiunta ad una riflessione più ampia che si sviluppa da tempo, un modo per fare il punto prima di tutto per me e che magari può essere utile anche ad altrə e perciò la condivido.


Il focus intorno a cui si dibatte è l’opportunità di utilizzare l’ aggettivo “adottato/adottivo” per definire persone con background adottivo o i loro genitori.
Come spesso accade credo che molto, se non tutto, dipenda dal contesto in cui il termine viene utilizzato che ne determina anche la valenza e per questo ritengo che ci siano due modalità in cui possa essere effettivamente utile o giustificato l’utilizzo del termine: quando l’attenzione  è rivolta alla questione adottiva con le sue specificità, per cui parlare di gentori adottivi o di figliə che sono statə adottatə è propedeutico alla riflessione; quando sono le persone stesse ad autodefinirsi, perché piaccia o no l’autodefinizione è uno degli aspetti strettamente personali, che contribuiscono alla costruzione identitaria e che seppure parziali meritano una sosta in quel che raccontano. Tenendo poi presente che le definizioni e le autodefinizioni ancora di più sono in continuo movimento e non statiche, seguendo i percorsi di consapevolezza che ognunə intraprende .


Ritengo invece fuorviante ed errato utilizzare l’aggettivo adottivo/adottato negli altri casi, quando diviene lo strumento per sancire graduatorie di merito filiale o di valore genitoriale, per distinguere tra un presunto superiore legame biologico e quello creato attraverso l’adozione e identifica motivazioni per le quali differenziare in base a questo parametro atteggiamenti di vario genere.
D’altro canto ritengo rischiosa, seppur in altro modo,  anche la negazione dell’utilizzo del termine a priori, laddove mi pare servile ad un appiattimento tanto rassicurante quanto  fuorviante, e che vedo agire spesso nello stesso mondo adottivo, e temo sottenda il desiderio di valorizzare la genitorialità adottiva, ma avendo un effetto opposto a questo.


Tenendo come punto fermo che da un punto di vista affettivo ed emotivo non credo ci siano differenze tra le famiglie divenute tali tramite adozione e le altre (salvo quelle differenze ovvie e che,fortunatamente, rendono unica ogni famiglia)ritengo che sia invece saggio saper guardare alle differenze oggettive che possono esserci, senza che questo aggiunga o tolga valore a nessuna genitorialità ma semplicemente ne riconosca le peculiarità. Sostenere che non vi sia alcuna differenza tra famiglie ( adottive e non) trovo possa rappresentare un rischio laddove porta come conseguenza una pericolosa miopia rispetto alle specificità che invece necessitano di essere riconosciute ed individuate, avendo peraltro come conseguenza positiva il poter distinguere tra ciò che può essere ricondotto e affrontato come dinamica familiare a prescindere dalle tematiche adottive  e per cui vi saranno metodi e strategie altre  da poter attivare e quello che invece è attinente all’adozione e necessità quindi uno sguardo attento e esperto di determinati meccanismi.


Che l’amore non basta è ormai una certezza, trovare come affiancarlo e sostenerlo è un impegno e una sfida tanto appassionante quanto impellente per tantə e lavorare in sinergia l’unico modo che credo davvero efficace per trovare domande sempre più mirate e risposte sempre più articolate.


In un panorama che deve essere pieno di quesiti e poco adagiato sulle certezze ho però una sicurezza: un pensiero complesso e trasversale sia uno strumento prezioso e da allenare costantemente, fuggendo dall’ appiattimento rassicurante ma semplicistico che troppo spesso viene attuato e auspicato.
Di lavoro ne vedo ancora tanto ma ho anche moltə compagnə di strada con cui farlo.
Ci riusciremo?

#adozioneraccontata #narrazioniadottive #adozione #leparoleperdirlo

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