Mi hanno fatta loro.

Una festa in cui mi trovo un po’ scomoda, sarà che in questo paese le madri si festeggiano e poi si dimenticano.

Sarà che non ho (ancora?) ben imparato ad essere figlia, con la mia fatica ad affidarmi e la sensibilità a pelle scoperta, eccessiva.

La maternità è stata una grande rivoluzione per me, una presa di coscienza e una spinta creativa.

Al netto della stanchezza, dei sensi di colpa, del sentirmi inadeguata, si è rivelata portatrice di leggerezza e allegria, oltre a dosi enormi di amore.

Sono una madre che ci prova, inetta e imperfetta a tratti, volenterosa sempre.

Sono la madre che posso, che spero, che so.

E ringrazio i miei figli, che miei non sono ma mi hanno fatta loro, perdutamente.

Nove mesi fuori da me.

Ieri erano 9 mesi che sei nato, tempo pari trascorso dentro e fuori di me, e proprio in questi giorni mi vuoi ancora più vicina, non tolleri in distacco.

È una fase, una delle tante, e mentre ti stringo, cercando di fare anche qualcos’ altro, sento un’ irrimediabile tenerezza per questo bisogno così forte di tenermi stretta.

Poi sarai tu a lasciarmi la mano per andare più in la, sempre un po’ di più, per adesso ti tengo vicino, ti guardo sperimentare capitomboli e ti salvo da qualche precipizio.

Mi hai regalato una maternità innamorata e senza ritegno, libera dall’ansia da prestazione della prima, in cui consigli, pareri e giudizi esterni vengono ascoltati e valutati con serenità e un po’ di ironia.

Ché, tanto lo so da sempre, per me funziona avere pochi no, molto spirito di adattamento, curiosità e lasciarsi guidare da voi piccoletti.

Sei volitivo e molto tenero, caparbio e coccolone, molto buffo e con una risata che sembra inventata per far ridere insieme.

Grazie piccolissimo, vederti crescere è bellissimo.

Con amore,
Mamma

Regalare parole.


Ieri sera il Meraviglio era molto stanco e con un musetto mogio mogio. Sono riuscita a metterlo a nanna io (di solito sono col Piccolissimo e il papà addormenta lui).
“Topetto, vuoi dirmi cosa succede? Abbiamo visto che c’è qualcosa che non va… “
“Non lo so, non c’è niente”
“Mmhh prova a pensarci, magari sei preoccupato per qualcosa a scuola? O hai litigato con qualche amic*? “
“Come hai detto tu.”
“Cosa? “
“Quella della scuola. “
“Dai, raccontamelo tu. Sono sicura che se me lo spieghi lo capisco bene e cerchiamo un modo per farti stare meglio”
“Va bene, adesso ti racconto. “

Mi ha raccontato, e si è rasserenato.
Quanto è importante aiutarli a tirare fuori emozioni, a dare parole a quello che sentono. E se da piccolo, tra librini e fiabe le sue paure e rabbia di bimbo si stemperavano velocemente, ora che si trova in bilico, tra l’essere bimbo (ancora qualche anno) e il ragazzino che diventerà trovo ancora più importante aiutarlo a non rinchiudere i pensieri. Non tanto, e non solo perché li condivida, so che è giusto anche che abbia tempo e modo di viverli da solo, ma perché riesca a dirli, prima a se stesso e dopo, se vorrà a noi, che ci saremo sempre.

Trovare parole e accoglierne altre, nel momento sospeso tra il suo sonno e gli ultimi minuti della giornata, stringerlo forte e con un bacio lasciarlo alle coperte, è uno dei regali più belli della sera.

15 marzo

Trentacinque anni fa, una bimbettina spaurita, arrivava a Linate e le veniva dato in mano il primo e ultimo Plasmon della sua vita (schifato il primo e mai voluti). L’orsetto con la papalina rossa, che mi ha seguito in ogni trasloco e ora riposa, ricucito variamente, nella scatola di ricordi, era stato dimenticato in auto, da due genitori frementi. Mi par di vederli, più o meno miei coetanei di adesso, con le guancine rosse e gli occhi luccicanti, come li so quando sono molto emozionati.
Sulla bimbetta è cresciuta tanto, talvolta la vedo nello specchio e ora le sorrido, perché passeranno anni e dolore, ma è qui e anche se i plasmon continuano a non piacerle, gli orsetti invece le stanno molto simpatici. Infatti, ne ha due.
Buon non-compleanno a me, alla bimba che sono stata e alla donna che sono ora.

Alcune date sono anche sentimenti contrastanti, ambiguità ed emozioni aguzze che necessitano di essere accolte, con tenerezza e ascolto. Oggi è stata una giornata un po’ faticosa, piccole cose stonate che pur nell’amore dei miei ometti, mi ha portata ad andare a letto con una sensazione di irrequietezza profonda. Ora lo so, è questo sentirmi felice e instabile allo stesso tempo, immaginare vite possibili, non come esercizio di fantasia ma per curare strappi che non hanno risposte sicure.
Ricordarlo, anche da grandi, serve sempre. Guardarci dentro, è, per me, imprescindibile.
E ancora di più, proprio per questo, buon non compleanno a me.

Sette mesi di Piccolissimo

Tu che sei allegria e sorrisi, caparbio nel richiedere attenzioni e così buffo da farmi ridere anche quando stravolta di stanchezza vorrei solo un eremo in cui rifugiarmi.

Mi dai il brivido dell’indispensabilità, e per fortuna (tua e mia) che mi penso me stessa da abbastanza tempo da non annegarci dentro, e saperne ridere insieme agli altri due, che ci guardano con un misto di tenerezza e stupore, indispensabili al nostro conoscerci staccati.

Sette mesi che innamori tuo fratello, e vedervi ridere insieme è il rumore più bello che potessi pensare. Tuo padre è conquistato dal vostro gruppetto di ometti e ha gli occhi che ridono anche quando è stanco.

Io progetto e annoto idee, con una mano che ti sorreggo e l’altra che cerca tempo, per ricavare momenti in cui trascriverle reali.

Buon sette mesi e un giorno, che ieri è stato un vortice, ma per festeggiare il tempo lo troviamo sempre.

Ti amo.
Mamma

Trentacinque ipotetici

Sarebbero trentacinque, e come ogni anno, non posso non pensarti uomo e ricordarti ragazzino. Quanta nostalgia di quello che non è mai potuto essere, ti sei fermato troppo presto, e hai lasciato un buco nel futuro che avremmo potuto avere insieme.
Oggi c’era un bel sole, sono uscita, mi sono seduta al parco, con un caffè, e ho fatto gli auguri al vento, forse li trovi lì.
Buon non-compleanno fratello, qui ci sono due piccoli a cui racconto di te.

Sei mesi di Piccolissimo

Sei mesi di risate, gridolini da aquilotto e pisoli da koala. Solo sei mesi che ci hai reso la vita ancora più allegra, moltiplicato l’amore in infinite giravolte e regalato abbracci morbidi. Già sei mesi che sei qui, che neanche mi pare di ricordare come fosse, prima di te, piccolissimo dagli occhi grandi e gli sguardi languidi, coi sorrisi che ci fai, sdentato e innamoranti.
Sei mesi di notti insonni, così tante che sembran di più e paiono confondersi una nelle altre, tutte uguali, in ognuna tu tra le mie braccia, a sussurrare ninna nanne, in una lingua inventata ogni volta. Eppure non scorderò mai la prima, di notte, io e te, a riconoscerci divisi, a impararci separati.
Mi hai sconvolto le notti e rivoluzionato i giorni.
Grazie, piccolisismo mio.

Delle madri che sono state, quella che cerco di essere e quella che, spero, sarò.

Penso a lei, ai suoi sogni a quello che è stato e a quello che, invece, è accaduto. Le immagino la mia stanchezza e le dita tenere sulla mia testa. Come era accaduto con il Meraviglio così anche questa volta, un piccolo tra le braccia mi regala la sensazione di vicinanza con lei, che non ricordo se non nell’emozione di sentirne lo sguardo su di me, piccola.

Nelle notti senza sonno (tante, troppe), penso a lei, ragazza e sola, e mi chiedo se mi avrà stretto a sé, con la stessa stanca amorevolezza che mi scorre nelle carezze al piccolissimo, e se anche lei, a volte o spesso, si sarà sentita esausta di pianti e di rimandi, un po’ stufa di non appartenersi più, ed emozionata della testolina che si abbandona sulla spalla, fiduciosa.

Penso a lei, perché l’altra, di mamma, ce l’ho vicina, certo con la fatica in questo periodo che la tiene lontana dai nipoti, e ci lega con telefonate e video ma manca di abbracci e risate dal vivo per i versetti buffibuffi,  ma presente, e in attesa di un’ora di macchina da poter fare.

La maternità è una rivoluzione, un giro su se  stesse che può portare nuovi sguardi, ma si prende tempo, energie e, a volte, slanci di improvvisazione, li butta in un angolo e per riprenderseli servono altrettanti energia tempo e slancio con in più un po’ di fortuna e molto supporto da chi è vicino.

Il corpo torna simile (mai uguale), a volte meglio, con cicatrici indelebili, incise dentro, che fremono e rimangono, al netto dell’amore, enorme, che han portato con sé.

Questa seconda volta la vivo con più stanchezza (sette anni in più, evidentemente li sento) e più serenità. La tranquillità che se una parte è riservata a noi, che proviamo ad esserci nel migliore modo possibile, moltissimo lo fanno loro, e mi permetto di lasciar andare le ansie educative, ché tanto, a seguirli, i piccoli, la strada la indicano sempre, ed è la migliore davvero.

Cerco di allenarmi a non poter progettare tutto, a lasciare spazio all’incognita e ammetto, non sempre mi è semplice ma sono sicura che in qualche modo mi sarà utile.

Con il Piccolissimo in braccio e il Meraviglio per mano, penso le madri che sono state, sento la madre che sono, e immagino quella che sarò .

Mi sono tanto arrabbiato.

Ieri è tornato da scuola molto mogio, si vedeva che qualcosa era andata storta.

“Topino che succede? Vuoi dirmelo? “
“Mamma, mi sono arrabbiato tanto, tantissimo”
E scoppia a piangere.
Lo abbraccio forte.
Diatribe tra bimbi, anzi tra bimbe, le sue amiche, che lo hanno fatto rimanere male.
“Mi sono così infuriato mamma che io davvero… “
“Cosa è successo topi, dopo che ti sei arrabbiato? ” temendo un pochino la riposta…
“Me ne sono andato, e non ho giocato con loro, finché non mi hanno chiesto scusa. Dopo si, abbiamo di nuovo corso”.

” Sei stato tanto bravo topetto. Pochi adulti saprebbero fare di meglio”

A volte, temo quasi che la sua dolcezza possa essere un po’ un ostacolo, in un mondo in cui si spinge sempre ad essere forti e vincenti (tanto più i maschi) ma lui sa usare le strategie migliori, per non farsi sopraffare senza mai snaturarsi.
E se anche qualche volta capiterà, spero di saper stare un passo indietro, pronta ad abbracciarlo ma senza combattere le sue piccole e grandi battaglie.

Lui, il mio Meraviglio.

Spaiata

A volte mi sento così, come i calzini del Meraviglio ieri, che quando gliel’ho fatto notare mi ha detto “loro stanno bene diversi, ballano senza musica e non li voglio cambiare” ed è andato a scuola felice, coi suoi calzini a righe gialle e blu.

Mi sento spaiata, quando si accumulano i giorni che arrivano alla fine senza avere avuto un tempo, anche poco, anche piccolo, per essere me.

Non madre, amica, compagna, figlia. Solo me. Che poi, a volte, non so neanche bene cosa sia, questo solo me che ho bisogno di cercare nello specchio, ma solo il fatto di provare a trovarla mi fa sentire un po’ più intera.

Perché mi capita di perdermi, come succede ad altre, credo, o forse spero, per non essere la sola.

E questo al netto degli amori, grandi, che ho per le persone più care, la mia famiglia, quella stretta e quella grande, quella anche fatta di amicizie scelte e preziose, cucita di affinità e affetto.

È che a volte, il riflesso mi rimanda un volto in cui riconosco i segni del tempo e li coccolo con gli occhi, ma di cui temo le ombre in fondo allo sguardo, quelle che ogni tanto mi rendono più schiva di quanto vorrei, più solitaria di quanto vorrebbero gli altri.

Ricerco il capo del filo, e lo ricompongo in un gomitolo ogni volta arruffato in modo diverso, provo a srotolarlo ancora, lasciandolo andare e tenendolo stretto, in un gioco di equilibrio sempre nuovo.

Ma forse ha ragione il Meraviglio, va bene anche essere spaiati, se, come i suoi piedini, si è pronti a ballare senza musica.